(da Ameglia Informa di maggio 2024)
Del 1944 molti bambini di qui, che ora hanno la mia età, si ricordano i soldati nazisti in giro per le strade, forse questo è il loro primo ricordo. Per me fu invece un ricordo bello: una pioggia di caramelle e Chewing Gum lanciate dagli Americani che entravano a Roma liberata dai nazifascisti. Il 4 giugno 1944 fu una passeggiata tra due ali di folla perché le truppe tedesche lasciarono la città senza combattimento. Ora per i bambini il primo ricordo è quello del sorriso della mamma o del papà, per altri è una brutta caduta dopo aver fatto i primi passi da soli.
Ma non fu tutto rose e fiori perché fu un dopoguerra tormentato, lo specchio di quello che avverrà al Nord, comprese vendette e linciaggi rimasti senza processo come è accaduto anche qui.
All’epoca abitavamo in via Tagliamento 76, scala D, un grande condominio nel quartiere Salario circondato da quattro strade e con un grande giardino rettangolare al centro, poco distante dalla direttrice di penetrazione degli alleati a Roma, che provenivano da sud percorrendo la via Tiburtina. Ho precisato anche il numero civico e la scala perché nel 1953 quel condominio diventerà famoso per il più grande scandalo politico del dopoguerra: l’omicidio della povera Wilma Montesi, che abitava due piani sopra di me, ma di questo e altro (come il Piper, la discoteca che divenne l’icona della Generazione Beat che era quasi all’inizio della via, davanti al famoso quartiere Coppedè).
Già dal 3 maggio 1944 la città era stata abbandonata dai tedeschi che si erano ritirati senza colpo ferire per la mediazione di papa Pio XII, evitando così una catastrofe umanitaria. Un silenzio irreale aleggiava sulla città all’alba del 4 giugno fino a che un rombo di ferraglie si udì in lontananza. Si sparse subito la voce che gli americani erano arrivati in periferia e avevano imboccato il viale Regina Margherita che in piazza Buenos Aires incrociava via Tagliamento. Per i romani era la fine della guerra e per me come svegliarmi da un sonno: è stato come arrivare nel paese dei balocchi con i carri d’acciaio dei bravi soldatini che sfilavano lanciando tubetti di caramelle col buco, Chewing Gum e sigarette (per i grandi). La pacchia non finì lì perché nei giorni seguenti, e per un bel po’, la mamma mi portò dove gli americani avevano fissato il loro quartiere generale, intorno al monte Antenne (uno dei colli di Roma) non lontano da noi, e lì riuscivamo ad attirare sempre la simpatia dei soldati che ci riempivano di leccornie e la mamma otteneva a poco prezzo caffè, zucchero e razioni Kappa di cui erano pieni.
Il giorno seguente (il 5 maggio) Papa Pio XII impartì la prima benedizione Urbi et Orbi (foto sopra) dell’Italia liberata… a metà. La liberazione di Roma ebbe un importante significato simbolico e politico ma non raggiunse risultati decisivi dal punto di vista militare perché le armate tedesche ripiegarono poco verso Nord senza troppe perdite. A questo punto gli Alleati, piuttosto che inseguirle, preferirono trasferire delle truppe sul fronte francese, dove il 6 giugno 1944 avevano programmato lo sbarco in Normandia, ritenuto strategicamente più importante perché colpiva al cuore il potere di Hitler. Numerosi aerei, tre divisioni americane e quattro francesi vennero spostate in Inghilterra così l’Italia verrà liberata solo il 25 aprile 1945.
Che però la vita, anche terminata la guerra, non fosse il paese dei balocchi me ne accorsi quasi subito. Nei giorni successivi all’arrivo degli Americani, Roma era tutta in festa, un tripudio di bandiere italiane e americane e nelle strade si sentiva solo musica boogie woogie trasmessa da Radio Roma Libera, sotto controllo americano. Si aprivano come funghi gli American Bar e i banchetti di vendita di sigarette di contrabbando americane. I festeggiamenti, dopo pochi giorni, subirono però un brusco arresto: Radio Roma annunciava il ritrovamento di 14 cadaveri in località La Storta, sulla via Cassia a Nord di Roma. Si trattava dei prigionieri provenienti dalla famigerata caserma delle SS di via Tasso, tristemente famosa come luogo di reclusione e tortura (ora Museo della Liberazione), che i tedeschi si erano portati dietro e poi assassinati perché non più utili per estorcere notizie divenute fuori contesto.
Questa, più o meno, la spiegazione della mia mamma alle mie domande, così conobbi che c’era una guerra in corso e che io ero nato poco prima dell’entrata in guerra dell’Italia. “Che cos’è la guerra?” Domandavo. “Una cosa bruttissima che non si può descrivere e che ha causato tante sofferenze” rispondeva mia madre. Che cosa fosse davvero la guerra non potevo rendermene conto ma altri strascichi li scoprii qualche settimana dopo, anche se i fatti risalivano al 23 e 24 marzo 1944 ma si seppero, in tutta la sua atrocità, solo dopo l’arrivo degli Alleati.
Ricordo che dopo la Liberazione incontrammo alcuni nostri amici ebrei che, con l’aiuto nostro e della popolazione, avevano superato indenni il rastrellamento del 16 ottobre 1943 avvenuto dopo il tranello della vile richiesta di più di 50 kg d’oro in cambio della salvezza. Ci confidarono il brutto presentimento per alcuni loro correligionari che non risultavano più detenuti nel carcere romano di Regina Coeli. Erano stati giustiziati per rappresaglia o deportati verso il Nord dai tedeschi?
Facciamo un passo indietro prima di arrivare al-l’orrenda scoperta.
Pio XII nel mese di maggio 1944 invitò i romani a ringraziare la Madonna del Divino Amore per aver salvato dalla distruzione la Chiesa Cattolica e Roma, così tanti romani ed anche noi facemmo il voto di andare a piedi, io in carrozzino (a piedi ci ritornai da adulto), al santuario del Divino Amore di Maria, che si trova a circa 12 Km dal centro di Roma sulla via Ardeatina.
Un’usanza molto antica che dura ancora oggi, anche perché il percorso tocca luoghi importanti per la Cristianità come la chiesa del Domine Quo Vadis, le catacombe di Domitilla, di san Callisto e san Sebastiano, la via Appia e dopo il 1944 anche le Fosse Ardeatine.
Proprio qui passammo e ripassammo indietro quando ancora i cadaveri dovevano essere esumati e riconosciuti e la cava di tufo appariva semichiusa dai crolli provocati dalle mine dei tedeschi dopo l’eccidio. (foto sotto)
L’odore ripugnante dei cadaveri in putrefazione usciva dall’apertura in alto ed entrava nei polmoni provocando conati di vomito. Ecco quelli erano i miasmi della morte e della cattiveria umana generati dall’odio della guerra, come mi disse la mamma.
L’eccidio delle Fosse Ardeatine, compiuto il 24 marzo 1944 ai danni di 335 civili (tra cui più di 70 ebrei) è stato un atto di rappresaglia a seguito dell’attentato avvenuto il giorno prima in via Rasella, ad opera dei partigiani che piazzarono una bomba nel carretto della nettezza urbana causando la morte di 33 tedeschi appartenenti ai corpi di polizia del reparto SS “Bozen”. Una rappresaglia immediata che non ha lasciato alcuna possibilità di ripensamenti o di mediazione neanche al Vaticano. Le Fosse Ardeatine rimasero un segreto fino all’arrivo degli Americani in quanto i frati salesiani delle vicine catacombe di san Callisto, sgomenti testimoni della strage, informarono solo la Santa Sede ma non divulgarono subito il fatto per il pericolo di ritorsioni. (segue)
Sandro Fascinelli
Gli Alleati, piuttosto che inseguire le truppe tedesche, preferirono trasferire delle truppe sul fronte francese, dove il 6 giugno 1944 avevano programmato lo sbarco in Normandia, ritenuto strategicamente più importante perché colpiva al cuore il potere di Hitler. Numerosi aerei, tre divisioni americane e quattro francesi vennero così spostate in Inghilterra