(da Ameglia Informa di Gennaio 2022)

Alla Spezia, siamo all’inizio degli Anni Ottanta dell’Ottocento, prende corpo un mega progetto reso necessario dall’essere diventato il Golfo, il centro del più grande stabilimento della Marina Militare e, di conseguenza, un obiettivo strategico di eventuali forze ostili. Occorre, dunque, proteggere l’intera area che comprende l’Arsenale racchiudendola entro un possente giro di mura che tuteli con gli impianti anche la città diventata ormai militare. Dopo il funesto colera del 1884 si comincia a costruire questo impianto che agli occhi dei contemporanei appare così faraonico che ci scherzano su chiamandolo “il grande muro della China”.

In effetti alla grande muraglia un po’ ci assomiglia.

Mura alte e massicce, composte da lunghe file di pietre squadrate in cui a intervalli regolari si aprono feritoie a bocca di lupo, corrono serpeggiando lungo i pendii che fanno da corona alla città. Lungo il loro percorso si aprono in caponiere, delle strutture difensive che si sporgono all’esterno per proteggere il muro con le bocche da fuoco che ospitano. Mezzo secolo dopo, per la difesa armata del Golfo che non servì a nulla, ci faranno anche i bunker – ma questa è altra storia.

Le mura salgono da sopra la Cattedrale e cerchiano la Spezia arrivando ad oltre il Parco della Rimembranza. Una gran bella difesa, dunque, anche se le origini militari delle mura vengono tradite quasi subito per essere volte a rivestire incarichi più vili. Le utilizzeranno, infatti, per far pagare il dazio (l’Iva del tempo) alle merci che entravano in città attraverso le porte che si aprivano nella cinta sì che saranno subito ribattezzate mura daziarie.

Ne esistono ancora ampi tratti ma il percorso lungo il vecchio bastione non era agevole da praticarsi e la dimenticanza, soprattutto delle finalità per cui lo si era costrutto, aveva avuto la meglio sulla conoscenza del trascorso del territorio e l’oblio, si sa, danneggia sempre l’identità che deriva dal sapere le cose.

Con una bella ed intelligente iniziativa l’attuale Amministrazione spezzina ha inteso recuperare quel patrimonio di memoria. Il progetto è di far riscoprire l’intero circuito murario ai residenti e a quanti, è facile profezia dire che non saranno pochi, vorranno venire a vederlo. Due piccioni con una fava: aumentare la consapevolezza di chi abita e mettere un prodotto appetibile sul mercato.

Lo scorso mese è stato aperto ed inaugurato il primo tratto. Parte, come detto, da sopra la Cattedrale e s’inerpica fino a Porta Isolabella, sotto Padre Dioniso. Il tratto iniziale impastoia un po’ le gambe specie a noi attempati ma presto la salita si addolcisce ed è bello camminare, è una sgambata di un’oretta (dipende dalla voglia di correre) fra il verde della selva. Quando poi si comincia ad accusare la fatica, basta girarsi e aprire lo sguardo sul Golfo ché la vista fa dimenticare subito ogni stanchezza. Ma se è sfacchinata, lungo il percorso trovi un verde attrezzato con panche e tavoli: servono per un eventuale pic-nic ma anche per tirare il fiato.

Certo, non ci si aspetti di trovare il parquet; è uno sterrato in cui si aprono delle aperture che, strette fra due pali tenuti insieme da sbarrette di ferro, lo traversano per la sua larghezza permettendo il defluvio delle acque meteoriche. Al tempo avevano anche ideato uno scolo che avevano realizzato in pietra. Se ne era proprio persa la memoria ed è stata bella sorpresa vederlo spuntare fuori durante i lavori.

Al tempo l’area era proprietà dei Marchesi Oldoini e la Contessa di Castiglione aveva progettato di donarlo alla Spezia che ne facesse un parco intitolato al padre Filippo. Di questa sua idea non se ne fece nulla; possiamo dire che la si è realizzata adesso.

Alberto Scaramuccia