6 Luglio 2020 Da www.mosaico-cem.it
di Ester Moscati
Dal lavoro coatto in Svizzera, ai concerti con il suo violino “rifugiato”; dalla laurea in ingegneria alle invenzioni per le Navi della Speranza dell’Alyià Beth, a fianco di Ada Sereni, inseguendo il sogno della rinascita di Israele. Vita e avventure di un uomo dal tratto signorile che, per la sua prestanza, stupì anche i camalli di Genova, che lo consideravano uno di loro.
Di giorni memorabili nella vita di Gualtiero Morpurgo ce ne sono stati tanti. Quello in cui sua madre gli regalò il primo violino non è certo il meno importante, dato che la musica fu per lui una compagna inseparabile nelle fughe, nelle lotte, nella vita nascosta o randagia, in mille avventure. E il violino è sempre stato il suo alter ego, tanto che i suoi libri di memorie si intitolano Il violino rifugiato, Il violino liberato. Ma l’amore per la musica è anche il segno di un animo gentile e un po’ schivo. «Una mattina, verso la fine del novembre 1992 – raccontò durante un incontro voluto da Paola Sereni su Via Unione, luogo di transito nel dopoguerra – ricevetti una telefonata dall’Ambasciata di Israele a Roma. Una gentile voce femminile mi informò che per il successivo 6 dicembre sarebbe arrivato a Roma il Presidente Rabin e mi comunicò il formale invito per la cerimonia a Villa Madama. Risposi che ero lusingato per il gentile invito, ma che, non rappresentando alcuna organizzazione ebraica, ma solo la mia modesta persona, non pensavo indispensabile la mia presenza a Roma. Dopo pochi minuti mi richiamarono e una voce più autorevole mi disse che forse prima non si erano spiegati bene, poiché la mia presenza era necessaria per il fatto che il Presidente Rabin doveva insignirmi di una decorazione per la mia partecipazione alle operazioni della Alyià Beth del 1945. Potete immaginare la mia sorpresa e naturalmente confermai, pregando di tener presente anche il nome del mio vecchio amico ingegnere Mario Pavia, che fu prezioso collaboratore in quella straordinaria avventura di mezzo secolo prima. E così con le relative consorti partimmo per Roma, insieme a Marcello Cantoni, altro decorato. Nella capitale c’era già il generale Alberto Li Gobbi, convocato anche lui quale premiato per la sua collaborazione nei trasporti di materiali e di superstiti dei campi verso i porti di imbarco».
Il lavoro per l’Alyiàh Beth
Dalla fine della Seconda Guerra Mondiale al maggio del 1948 sono partiti dalle coste italiane 34.000 ebrei su una quarantina di navi, dodici delle quali furono affondate, per fortuna senza vittime. Gualtiero Morpurgo era stato incaricato da Raffaele Cantoni di lavorare a fianco di Ada Sereni per l’allestimento di queste navi, che erano spesso “carrette del mare”, affidate alla speranza e al Signore. Gualtiero aveva lavorato prima della guerra nei cantieri navali di Genova. Era un bel ragazzo atletico, abituato alla montagna, ma la qualifica di ingegnere e l’aplomb signorile lo rendevano agli occhi dei camalli un borghese da tenere a distanza. Ma un giorno, per un problema su una gru, a trenta metri da terra, lo videro arrampicarsi come uno stambecco, senza protezioni. Da quel giorno, per i rudi portuali di Genova, Gualtiero fu “uno di noi”. Un’esperienza, quella di ingegnere navale, che mise a frutto per la preparazione delle navi clandestine. A Milano in quel primo dopoguerra iniziarono a prodursi i tubi Innocenti destinati alle impalcature della ricostruzione edilizia. Morpurgo ebbe un’idea: smontati, quei tubi erano semplicemente un carico di materiale da esportazione che poteva essere fatto passare indenne sotto il naso delle motovedette inglesi che pattugliavano le coste. Di notte, venivano velocemente montati a formare cuccette per i profughi in viaggio. I camion della Brigata Ebraica facevano la spola tra Milano e Genova o La Spezia, trasportando il prezioso materiale. «Come è noto, – racconta Morpurgo – dopo la favorevole Dichiarazione Balfour, la politica inglese era diventata contraria agli ebrei per mantenere buone relazioni con il mondo arabo e venivano concesse minime quote di immigrazione. Cantoni sapeva che avevo lavorato come ingegnere nei Cantieri Navali di Genova e pensava che fossi un elemento adatto da presentare alla direzione delle operazioni. Accettai e così conobbi Ada Sereni, che mi spiegò che avrei dovuto allestire le navi che mi sarebbero state consegnate nei vari porti del nord, ricavando nelle stive e dove possibile il maggior numero di cuccette. Mi fece presente subito che questa volontaria collaborazione sarebbe stata irta di pericoli, con possibilità di arresto e di galera da parte degli inglesi, e naturalmente il tutto senza difese e senza compensi». E di pericoli dovette affrontarne molti, ma sempre con uno spirito indomito e un coraggio che è passato alla storia. In occasione della sua scomparsa, nel 2012, il sindaco di La Spezia Massimo Federici scrisse: “Gualtiero Morpurgo, insieme a Mario Pavia, è stato ingegnere, costruttore delle navi Fede e Fenice, salpate dal molo della Spezia per la Palestina l’8 maggio 1946. Un uomo che con il suo coraggio, con la sua dignità e professionalità ha salvato e dato nuova speranza di vita a migliaia di profughi dei lager. Fu premiato, insieme a Pavia, nel 1992 dal Primo Ministro israeliano Rabin con la Medaglia d’Oro per l’aiuto prestato all’immigrazione ebraica. Nel 2008 ricevette il Premio Exodus alla carriera, sempre insieme a Pavia. La città della Spezia vuole ricordarlo e rendere omaggio alla sua straordinaria esperienza umana e professionale che ha contribuito a fare della Spezia la Porta di Sion, portatrice di un sempre vivo messaggio di speranza”.
La fondazione del Bollettino della Comunità ebraica
Gualtiero Morpurgo era nato in Ancona nel 1913, orgoglioso discendente di quel Sanson Morpurgo, medico e celebre talmudista, che alla fine del 1600 portò nelle Marche la sua scienza e la sua cultura. Il giovane Gualtiero nel 1943, dopo l’armistizio e la calata dei tedeschi in Italia, si mise lo zaino in spalla, con il suo violino ben riposto, e attraversò il confine svizzero. Finì in un campo di rifugiati, a Pian San Giacomo, dove lavorò duramente, confortato solo dalla musica. Prese a organizzare piccoli concerti con un gruppo di nuovi amici e fu proprio lì che conobbe la giovane dalla “figurina elegante e snella” per la quale si trovò a compiere quello che considerava un ennesimo atto di coraggio: “Linda, mi vuoi sposare?” “Veramente, non sono molto sicura” “Ma io sì!”. Tornato a Milano dalla Svizzera, in via Unione dove la Comunità riprendeva faticosamente la sua vita, Gualtiero fondò il Bollettino della Comunità ebraica di Milano, all’inizio solo un foglio ciclostilato per permettere di riallacciare i rapporti, dare le notizie e gli elenchi degli scampati dai campi, le informazioni indispensabili a ricostruire un tessuto sociale. Ideò e disegnò la testata, si dedicò a servire la sua comunità e i sopravvissuti con quella passione, con il coraggio e la volontà che saranno la cifra di tutta la sua vita. «Dalla feroce occupazione tedesca si era passati alla rigida dominazione alleata – raccontò – che nel nord d’Italia era in gran parte inglese. Il nostro tempio di via Guastalla era stato bombardato e distrutto, la comunità era dispersa e non esisteva un centro di informazioni né un minimo di organizzazione. Su questo disperato scenario stavano arrivando intanto i superstiti dei campi di sterminio. La prima fortunata circostanza fu la presenza a Milano della Brigata Palestinese: avevo subito notato con un balzo al cuore il Maghen David che era dipinto sulle fiancate di molti camion militari che circolavano in città, e mi avevano informato che si trattava dei veicoli della brigata ebraica che era stata incorporata nell’Ottava Armata del Generale Alexander e che aveva eroicamente combattuto durante la risalita della penisola lungo la costa adriatica, purtroppo con considerevoli perdite. Nel frattempo in comunità fu subito necessario organizzare un centro di informazioni, essendo inondati da liste di nomi e da richieste di notizie dei dispersi. D’accordo con Cantoni, fondai così il Bollettino con copie a ciclostile e lo diressi sino al 1951».
La vita continua, sulle corde del suo violino
Dopo la morte di Gualtiero Morpurgo, si può dire che, in qualche modo, la sua vita continua, perché il suo violino – il suo alter ego – suona ancora. La famiglia ha voluto donarlo, infatti, al liutaio di Gerusalemme Amnon Weinstein, che si occupa di curare, se è il caso restaurare, i Violini della Speranza, appartenuti a deportati, o ritrovati nei lager. Amnon Weinstein ha scelto, tra gli altri, il violino Morpurgo per lo straordinario concerto tenuto a Berlino nel 2015, unico violino italiano nel corso della manifestazione internazionale I violini della Memoria, dedicato alle vittime della Shoah, che vide protagonista una formazione cameristica dei Berliner Philharmoniker. Un violino “rifugiato”, “liberato” e infine “sopravvissuto”, dunque, che ha accompagnato Gualtiero in tutto il corso della sua straordinaria vita, compresi gli anni passati in Cile per lavoro. Per chi volesse leggere la vita lunga e ricca di avvenimenti di quest’uomo forte, intelligente e coraggioso, vale la pena leggere i sui libri, Il violino liberato, Il violino rifugiato, La busta gialla (Mursia editore).