(da Ameglia Informa di dicembre 2024)
È il 6 ottobre 1306, un giovedì come gli altri ma destinato a cambiare la storia della Lunigiana e i protagonisti ne sono inconsapevoli destinatari: il notaio ser Giovanni e Dante Alighieri.
L’inizio della giornata è scandito dal suono delle campane che annunciano la prima messa intorno alle cinque e mezza del mattino. Giovanni, come gli altri di casa, si sveglia, si fa tre volte il segno della croce, svolge le sue funzioni corporali, si veste e si lava le mani e il viso, uniche parti che rimangono scoperte dopo la vestizione. In cucina le donne di casa si affaccendano ai loro lavori domestici. Un garzone porta a Giovanni il mantello e ha con sé una grossa borsa di pelle. Nel cortile le cavalcature sono già sellate e pronte alla partenza; le strade del borgo di Sarzana si animano di gente, di animali, e nell’aria risuonano i rumori consueti. Gli artigiani aprono le loro botteghe, qualcuno si avvia verso la campagna, altri ne provengono con i prodotti per il mercato; medici, scrivani e notai iniziano il loro giro; Ser Giovanni è proprio uno di questi notai, figlio di Parente di Stupio che, con un ragazzo di bottega, il suo scrivano e altre persone che si sono aggiunte al seguito lungo la via, si dirigono verso il torrente Carcandola nella periferia di Sarzana.
Nel mese di ottobre, sul far del giorno, l’aria generalmente è fresca e pungente nello spiazzo ghiaioso lungo il Carcandola. In quel luogo, fuori da occhi indiscreti, hanno appuntamento con un personaggio a loro sconosciuto che stanno aspettando: un intellettuale fiorentino, fuoriuscito e squattrinato, che da qualche tempo si aggira ospite nelle corti dei vari marchesi lunigianesi Malaspina. Proprio a nome di Franceschino Malaspina, ser Giovanni deve consegnare all’esule una procura in bianco per poter trattare un accordo di pace tra i Malaspina e il vescovo-conte di Luni. Un fatto importante per la Lunigiana lacerata dalle lotte di due galli che condividono lo stesso pollaio. Il personaggio non tarda a farsi attendere e, intorno alle sei, l’ora prima, di quel 6 ottobre del 1306, Dante Alighieri “de Florentia” diventa ufficialmente procuratore della famiglia marchionale dei Malaspina.
Con quella procura il “ghi-bellino” si assume la gravosa responsabilità di mediatore, esecutore nonché ambasciatore dei marchesi Franceschino, Morroello e Corradino. Cosa non da poco, che dimostra quale fiducia riponesse il marchese di Mulazzo, promotore dell’avveni-mento, nei confronti dell’Ali-ghieri. Non abbiamo notizie di dove e come Dante abbia passato la notte e quante persone fossero con lui quando incontra i notabili che lo stanno aspettando.
È cosa certa che frate Guglielmo Malaspina dell’ordine dei Minori, il soldato Bartolomeo Tanaregia da Lucca, e Messer Tomasino giudice, fratello di Parente di Stupio fossero presenti come testi alla consegna della procura. Il fatto e il luogo verrà ricordato ai posteri, a Sarzana con “Orma di Dante non si cancella”.
In quella mattinata umida del 6 ottobre del 1306, Dante Alighieri, ricevuta sul Carcandola la procura da Giovanni di Parente, si accinge a salire, forse a cavallo o a dorso di mulo, al Palazzo del Vescovo in Castelnuovo, in compagnia del notaio e di due dei tre testimoni. Possiamo ragionevolmente supporre che le cose non fossero state fatte in fretta e che Dante fosse a Sarzana già da qualche giorno, ospite di qualche fervente malaspiniano che in quel tempo non mancava sicuramente nel borgo.
Immaginiamo pure che lo stesso Dante abbia partecipato attivamente all’organizzazione delle ultime fasi dell’azione diplomatica con lo stesso Franceschino, altri componenti della casata e ser Giovanni notaio. In quel giovedì mattina stabilito per la firma del trattato, forse, sul Carcandola, con il notaio Giovanni di Parente, si è presentato all’appuntamento fra tutti i Malaspina, il solo Franceschino.
Non è esclusa la possibilità che egli, all’ultimo momento, abbia ritenuto più prudente non salire presso la residenza del vescovo-conte, affidando a Dante, che già si era guadagnato sul campo una fiducia incondizionata, l’incarico di definire, con i più ampi poteri, gli ultimi dettagli del gravoso ma desiderato accordo di pace.
Il vescovo Nuvolone da Camilla e la sua corte attendevano, intorno all’ora terza, ossia dalle nove in poi, arroccati nel castello vescovile di Castelnuovo per siglare la storica intesa.
Le ragioni per cui la sede dell’accordo fu la residenza vescovile di Castelnuovo Magra sono da ricercare soprattutto nell’irrequietezza di Sarzana, sempre smaniosa di una piena indipendenza, ma, diversamente, possono essere state legate alle precarie condizioni di salute del vescovo Nuvolone che, in effetti, sappiamo deceduto l’anno successivo. La “camera” del castello doveva essere gremita da funzionari e prelati che assistevano alla stesura del-l’accordo.
Un documento di quattro pagine, fitto di termini giuridici, dal quale son estratti i passi che seguono e che in minima parte ne riassumono il contenuto:
“Poiché troppo a lungo, per il soverchiante potere del demonio, nelle relazioni tra il venerabile Padre Reverendissimo signor Antonio, per grazia di Dio vescovo di Luni e conte, e i magnifici … marchesi Malaspina sono derivate guerre, inimicizie e odi, donde seguirono omicidi, ferite, stragi, incendi, saccheggi, danni e pericoli d’ogni sorta, così che la provincia lunense è stata in varia maniera straziata …
Il vescovo del sopraddetto dominio e i marchesi, aderendo all’esempio del Sommo Padre, che diceva ai suoi apostoli: “Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace”, … considerino anche che in ogni stato deve essere desiderata la pace, nella quale i popoli progrediscono, nella quale è riposta l’utilità dei popoli, perché essa, splendida madre di buoni principi, moltiplica il genere umano con sempre vivo susseguirsi di generazioni, aumenta le buone disposizioni, affina i costumi e da tutti si riconosce di quale forza essa sia, si compiacciano per la sua serena tranquillità e la placida soavità della pace per i loro amici, seguaci e sudditi, illuminati dalla grazia del Divino Salvatore…”.
L’accordo, con il plauso dei presenti, è suggellato dal bacio di pace tra il vescovo e Dante.
Gino Cabano