(da Ameglia Informa di novembre 2024)
Nel principio erano case. Case piene di risate, di litigi e di canti. Poi venne la bomba. Dalle macerie crearono una piazza e nella piazza misero una fontana. Una fontana pericolosa.
Bere alla fontana era un atto di coraggio. Era un rito di passaggio. Il mondo si divideva in coloro che bevevano alla fontana e quelli che la evitavano. Del resto, chi ci provava rischiava di scivolare e cascarci dentro, inzuppandosi scarpe e pantaloni, facendosi del male. Senza contare che gli amici, dopo una lunghissima risata, ti avrebbero sputtanato ai quattro venti, rievocando l’evento per delle settimane, a volte mesi.
Molti turisti, esausti e assetati per aver fatto settecento e passa scalini di Punta Corvo, ci provavano. Noi bambini scommettevamo su chi ce l’avrebbe fatta. Era vietato scommettere sugli anziani, sulle donne e sui bambini piccoli. Anzi, i bambini piccoli andavano attivamente dissuasi dal bere alla fontana.
A volte, nel tardo pomeriggio, quando la fontana era “ricca”, il Bocio si metteva la maschera e ci nuotava dentro per recuperare le monete. Raccoglieva i desideri degli altri per soddisfare i propri. In poche parole, rubava ai sognatori. Però era generoso e divideva con noi amici, comprandoci la sera un ghiacciolo al Bar Cabano.
Durante la sagra del paese, invece, la gente faceva la coda per un Fritto Misto o uno Spaghetto alla Puttanesca proprio davanti alla fontana. Alfredo, il fratello genio del Bocio, sceglieva sempre questo momento per affacciarsi alla finestra e recitare un discorso del Duce, gonfiando in fuori il petto e alzando il mento. Per fortuna, c’era sempre qualcuno che lo trascinava dentro e compariva dopo poco scusandosi con la folla e chiudendo la finestra. Oggi verrebbe arrestato ma allora faceva parte del folclore.
Un giorno accompagnai il Bocio a casa sua che distava pochi metri dalla fontana. Aveva dimenticato le chiavi e lo vidi arrampicarsi fino alla finestra del primo piano, mettendo un piede sulla testa della Madonnina sopra la porta. Quando scese ad aprirmi, mi sorrise e disse, “La Madonna mi aiuta sempre quando mi chiudo fuori.”.
La madre del Bocio, Letizia, era solita invitare il prete per un caffè dopo la messa, ma quella mattina si scordò di rinchiudere il loro pappagallo in bagno. L’uccello sentì i passi del prete sulle scale e partì con una sfilza di, “Troia! Bagascia! Puttana!”. Il prete si bloccò sulle scale terrorizzato e tornò sui suoi passi. Non torno mai più a prendere il caffè e per un po’ Letizia evitò di andare a messa.
Tutti i venerdì la pescivendola partiva dal parcheggio e portava i pesci alla fontana dove lavava a loro gli occhi finché non brillavano. Mentre attraversava il paese sorreggendo una cesta del pescato sulla testa, gridava, “Eeelaghaipesciaaaa!”, un lamento che noi bambini avevamo imparato a imitare e che dunque echeggiava per tutti i vicoli del paese.
La pescivendola non sorrideva mai ed era sempre seguita da una fila indiana di gatti dal passo felpato. Ogni tanto si girava a guardarli e loro rimanevano immobili ed evitavano il suo sguardo. Un, due, tre… stella!
Un giorno due coppie di sposini – un moro e una bionda e un biondo e una mora si trovarono a fare le foto del matrimonio alla fontana allo stesso tempo. I fotografi cominciarono a litigare da subito, ognuno rivendicando precedenza sull’altro.
Prima che arrivassero alle mani, intervenne Valentina, la sorella artista del Bocio e di Alfredo che aveva visto tutto dalla finestra di cucina. Scese in piazza e suggerì ai fotografi e agli sposi di scambiare le coppie – il biondo con la bionda e il moro con la mora. Dopo un attimo di silenzio e imbarazzo che sembrò durare un’eternità, tutti scoppiarono a ridere e le finte coppie si fecero fotografare più volte e tutto finì in sorrisi, strette di mano e persino abbracci. Quel giorno imparai che l’umorismo conosce ragioni di cui la ragione non sa nulla.
Oggi la fontana non c’è più ma quando chiudo gli occhi riesco ancora a vederla. E mi ricordo che per bere alla fontana, come nella vita, bisogna rischiare anche se qualche volta scivoli.
Aubrey Alexander Hill