(da Ameglia Informa di settembre 2024)

 Ferruccio Accame da giovane – Archivio famiglia Accame

Sandro Fascinelli, ex direttore di Ameglia Informa e ora collaboratore, mi ha fatto avere la pubblicazione stampata dal “Bagno Arcobaleno” di Carlo Ferruccio Accame e Lorella Dapporto in ricordo dei fratelli Falco e Ferruccio Accame, scomparsi nel 2021. Si tratta della ristampa del primo dei tre mitici Quaderni della serie “Portus Lunae”, oggi praticamente introvabile. Nel testo introduttivo Carlo Ferruccio Accame racconta l’esperienza di Internato Militare Italiano dello zio Ferruccio, detto “Bubi”. Fascinelli mi ha invitato a spiegare ai lettori l’ancora poco conosciuta esperienza degli Internati Militari Italiani.

Ma partiamo dal racconto su “Bubi”:

Nel ‘43 viene inviato a Danzica insieme a gran parte dell’equipaggio del Finzi per iniziare l’addestra-mento su un nuovo U-boat della marina tedesca. Divenne il comandante di fatto del sottomarino e allo stesso tempo l’interprete perché i due fratelli parlavano la lingua della nonna Maria. Il nove settembre [giorno successivo all’armistizio] al rientro dall’addestramento, entrando in cabina venne colpito dal calcio di un fucile e al suo risveglio si ritrovò imprigionato. Il giorno successivo venne portato in un campo di prigionia dove la fame si fece subito sentire.

Con la nascita della Repubblica di Salò, fu offerta l’opportunità di tornare in Italia o rimanere fedele al Regno. Rifiutata l’idea di arruolarsi per Mussolini accettò successivamente l’opzione dei lavori forzati e fu trasferito in un vivaio a nord di Berlino. Parlando tedesco e sapendo usare il trattore si rivelò subito molto utile al vivaio e nonostante una vita povera e di solo lavoro, mi rimangono impressi i racconti luminosi, vividi e pieni di vita che raccontavano questa esperienza. Alle 4 di mattina si svegliava e portava il trattore alla stazione per prendere le lavoratrici che arrivavano con il treno delle 6 da Berlino. Le portava al vivaio e poi svolgeva altri lavori fino alle 16 per riportarle alla stazione e tornare poi alle baracche! Indossava vestiti rammendati, trovati casualmente” [Nota 1].

Ferruccio si trovò nella situazione di quasi 700 mila soldati italiani di stanza all’estero, soprattutto nei Balcani e nel mar Egeo, all’indomani dell’8 settembre. La decisione del re e di Badoglio di non avvisare i militari all’estero dell’armisti-zio imminente e la scelta di non accordarsi con gli angloamericani per organizzarne la resistenza ebbero come effetto prevalente, salvo poche eccezioni, la resa e l’internamento in Germania. Una minoranza dei nostri soldati – tra il 10% e il 20% – decise di continuare a combattere con la Germania.

Gli altri, presi prigionieri, diventarono “Internati Militari” e furono condotti nel Reich e costretti a lavorare, per far fronte a una grave carenza di manodopera, in condizioni terribili: poca igiene, scarsa alimentazione, sfruttamento del lavoro, freddo, sovraffollamento nelle baracche.

La “scelta” antitedesca fu motivata in primo luogo – così fu anche per Accame – dal senso dell’onore patriottico e dal rispetto di giuramento fatto al re. Ma affiorò in molti anche una sempre più consapevole motivazione politica antifascista, di riscatto dell’Italia dal drammatico errore della guerra fascista e del fascismo stesso. In ogni caso tutti cercarono di non dimenticare “di essere uomini civili, uomini con un passato e un avvenire” [Nota 2], come sintetizzò uno di loro, il futuro famoso scrittore Giovannino Guareschi.

Hanno scritto Marcello Flores e Mimmo Franzinelli nella “Storia della Resistenza”:

“Motivi etici e ideologici certamente molto differenziati, ma che possono riassumersi in un ritrovato senso di autostima che la partecipazione alla guerra fascista aveva fatto perdere e che si intuiva dover essere recuperato con un comportamento coerente” [Nota 3].

Anche questa fu Resistenza, fu “scelta” di libertà dopo vent’anni in cui il fascismo aveva abituato all’obbedienza e alla passività. Anche se non fu subito riconosciuto: solo nel 1998 fu concessa dallo Stato italiano la medaglia d’oro all’”Internato ignoto”.

Basti pensare a cosa avrebbe potuto costituire l’oltre mezzo milione di internati che rifiutarono le minacce tedesche, se avessero accettato di tornare in Italia inquadrati nei reparti nazifascisti.

Una minoranza lo fece. Anche uno spezzino che l’8 settembre 1943 era a Danzica, come Ferruccio Accame.

Si chiamava Mario Arillo.

Qualche mese fa un’as-sociazione, con il patrocinio di un Comune della provincia, ha organizzato una manifestazione in suo omaggio, definendolo un eroe.

Arillo comandava la base sommergibili di Danzica. In questo caso la maggior parte dei militari italiani, tra cui Arillo, decise per l’alleanza con i nazisti; così come la maggior parte degli aderenti alla X Mas alla Spezia, comandata da Junio Valerio Borghese. A Danzica una minoranza – 6 ufficiali, 2 sottufficiali e 35 sottocapi e comuni – si rifiutò e fu internata nel campo di concentramento di Torun (Stalag XXA).

Arillo, eroe della Regia Marina per le sue azioni precedenti, l’8 settembre tradì la patria. Gli eroi furono i 43 che scelsero il campo di concentramento.

Arillo fu poi, fino al 25 aprile 1945, uno dei vice della X Mas di Borghese e porta la responsabilità politica e morale di tutti gli eccidi da essa compiuti, in cui perirono molti eroi della Resistenza spezzina, dai ragazzi del monte Barca uccisi a Valmozzola a Piero Borrotzu “Tenente Piero”.

Troppe volte si tende a dimenticare il valore decisivo della “scelta” compiuta dagli italiani l’8 settembre e nei mesi successivi: la “scelta” per la libertà è quella su cui si fonda la Repubblica democratica antifascista, retta dalla nostra legge fondamentale, la Costituzione.

Giorgio Pagano

[Note] – 1 – “Tra fiume e mare”, “Bagno Arcobaleno”, Ameglia (SP), 2022, p. 10.

2 – Giovannino Guareschi, “Diario clandestino 1943-1945”, Rizzoli, Milano, 1949 (ebook, posizione 94).

3 – Marcello Flores, Mimmo Franzinelli, “Storia della Resistenza”, Laterza, Bari-Roma, 2019, p. 58.