(da Ameglia Informa di settembre 2022)
La santità e il suo manifestarsi attraverso fenomeni mistici e spirituali hanno suscitato, da ormai alcuni decenni, l’attenzione degli storici che si sono orientati sia nella ricerca dei vari “modelli agiografici”, sia studiando i processi di canonizzazione o gli atti dell’inquisizione, soprattutto nell’epoca moderna, quando la chiesa elaborò criteri più rigidi per definire la santità.
Alcuni studiosi sentirono il bisogno di indagare più approfonditamente su un fenomeno assai diffuso tra il XV e il XVIII secolo: la costatazione di un “fatto” storico come la “finzione” di santità, che, anche se non era ignoto al medioevo, viene ad assumere, dalla fine del XVI sec. un’evidenza tale da configurarsi come fenomeno culturale e sociale degno di essere approfondito.
In particolare, si nota il moltiplicarsi di casi di sospetta finzione di santità dal nord al sud dell’Italia, passando per l’Umbria e la Toscana. Si tratta, nella stragrande maggioranza, di donne, che col loro comportamento devoto, accompagnato da fenomeni “mistici” di vario genere, suscitano attorno a loro una cerchia di curiosi devoti, sollecitando l’attenzione dei vescovi e dei loro tribunali. Si tratta di vera o di finta santità?
È probabile che alcune di queste figure, abbiano vissuto realmente una vita “santa”, tuttavia, anche in questi casi, difficilmente si arrivò a un processo di canonizzazione. La ragione sta probabilmente nel fatto che, dall’ultimo ventennio del XVI sec., si ebbe un’evoluzione della santità “approvata” in parallelo con la progressiva definizione di santità “simulata”. Nel caso sarzanese di Caterina Brondi, si diffuse una vasta convinzione di santità, tanto da scriverne una monumentale biografia; tuttavia, non si arrivò alla proclamazione canonica.
La vicenda biografica di Caterina Brondi nata a Sarzana il 24 marzo 1684, figlia di commercianti, è quanto mai espressiva della nuova mentalità che definiva meglio i criteri di santità. Caterina fu inviata a scuola di dottrina cristiana a sette anni, manifestando una tale disposizione alla religione, che la madre la affidò a una maestra perché potesse approfondire i suoi interessi religiosi. La giovane maturò il voto di entrare nelle religiose cappuccine, voto cui fu fedele per diversi anni.
La sensibilità e il fervore delle sue pratiche devote cominciarono intanto ad attirare su di lei l’attenzione prima della famiglia poi dell’intera città di Sarzana. Quel suo primo progetto di farsi monaca non poté realizzarsi. Caterina, tuttavia, ebbe una visione nella quale apprese che Dio la voleva “nel secolo”. Ciò diede alla sua vita uno scopo diverso, indirizzando la sua esistenza alla completa dedizione agli infermi. Caterina conduceva una vita molto austera. Dopo essersi alzata molto presto al mattino, faceva un’ora e mezza di meditazione, si sottoponeva a penitenza e recitava l’ufficio della Madonna e altre preghiere. In questo periodo cominciarono anche a manifestarsi alcuni fenomeni mistici, attraverso frequenti visioni da cui Caterina ricavava un’esperienza talmente intensa da dichiarare “mi pare che havessi le cose avanti come quando si vede una cosa con li occhi”. Gli effetti di tali visioni la coinvolgevano profondamente tanto da sconvolgerla:
“Mi vennero impeti d’amore verso Dio tanto grandi che sbalzano e alzano da terra senza potermi tenere (…) alle comunioni cominciai andare come fuori di me, venendomi grandi impeti amorosi verso Dio che haverei voluto poter volarmene a lui e stentavo a tenermi che non alzasse la voce gridando amore, amore”. Durante questi fenomeni spesso alla Brondi capitava che le fossero rivelati eventi futuri; si trattava di previsioni riguardanti persone o vicende private.
Insieme a tale preveggenza, sosteneva di avere la capacità di leggere nei cuori e di rivivere la “rinnovazione della Passione” ogni venerdì per tre ore impersonando a volte Gesù flagellato o agonizzante in Croce, o la Maddalena piangente ai suoi piedi o la Madonna addolorata convivendo le loro sofferenze e immedesimandosi nei loro ruoli. A causa di queste estasi o “pazzie d’amore”, come le chiamava, Caterina cominciò a essere oggetto di curiosità e si recavano da lei molte persone, acquistando in tal modo una popolarità inopportuna che indusse il Vescovo Giovanni Girolamo Naselli a informare il S. Ufficio.
Si attuava in tale modo una ben precisa strategia di controllo al fine di circoscrivere la fama di santità mettendo a tacere il clamore che generalmente si accendeva attorno ai casi di misticismo.
Gli scritti della “santina di Sarzana”, come era definita, coprono un periodo che va dal 1702 al 1718 un anno prima della morte. La sua attenzione in tali relazioni è rivolta costantemente a descrivere le esperienze mistiche da lei vissute. I primi resoconti sono scritti piuttosto brevi.
Nel tempo i racconti si fanno più lunghi e l’attenzione si rivolge alle rivelazioni profetiche che Dio fa alla devota circa la sorte delle anime di alcuni defunti o le guarigioni di alcuni malati. In conseguenza di questi eventi soprannaturali Caterina si convinse che Dio per mezzo suo volesse “fare gran pesca d’anime”.
Da allora il suo operare si indirizzò a favore dei bisognosi, non solo malati, ma anche anime bisognose di conversione e desiderose del suo consiglio spirituale, elargito anche attraverso le sue personali sofferenze e penitenze. Tra il 1708 e il 1719 Caterina fece diversi viaggi. Dapprima voleva recarsi in Turchia alla ricerca del martirio per la conversione delle anime, ma il suo viaggio si fermò a Lerici, per poi far ritorno a casa comprendendo che a lei non era richiesto questo martirio. (segue)
Mons. Paolo Cabano
(da Ameglia Informa di ottobre 2022)
Da allora la sua fama di santità crebbe e al nuovo vescovo di Sarzana, monsignor Ambrogio Spinola, arrivavano continue richieste per avere la presenza della Santa. Si rivolsero a lui anche le monache del monastero di Santa Chiara a Massa dove Caterina si recò nel 1713. Dopo il soggiorno a Massa, fatto ritorno a Sarzana, chiese al vescovo il permesso di recarsi a Genova per assistere gli infermi dell’ospedale di Pammatone. Durante il suo soggiorno a Genova Caterina incontrò numerose persone che si rivolgevano a lei ottenendo la conversione; per questo motivo ben presto si diffuse in città la fama. Più tardi fece richiesta di potersi recare presso l’ospedale di Santa Chiara a Pisa. Anche a Pisa la sua fama di santità era tale che molti furono coloro che si rivolsero all’arcivescovo per poterle parlare o per chiedere la sua intercessione, tra questi anche il granduca Cosimo III de’ Medici, che per incontrarla si recò personalmente a Pisa.
Il soggiorno della Brondi a Pisa fu però molto breve, infatti le sue condizioni di salute, da qualche tempo abbastanza precarie a causa dei prolungati digiuni e delle aspre penitenze cui si sottoponeva, finirono per compromettere gravemente la sua salute, e a nulla servirono le cure del professor Giuseppe Zambeccari, anatomista del-l’Università di Pisa.
Caterina morì infatti il 28 luglio 1719. Fu vera santità? In molti, anche nei secoli successivi, lo sostennero. Padre G. Battista Semeria nel 1843 nella sua opera “Secoli cristiani della Liguria” la considerava autentica mistica (pp.121-122), e ancora nel 1946 mons. Casimiro Bonfigli scrisse un opuscolo dal titolo “Conoscete Caterina Brondi?”, nell’in-tento di pervenire, per la vergine sarzanese, “ad una gloria più fulgida, che, ci auguriamo, verrà dalla Chiesa”. Ma ancora una volta tutto si fermò. Forse ciò avvenne perché ad una signora molto familiare la Brondi confidava “il suo desiderio era che di lei non si fosse mai fatto conto veruno, né in vita né in morte” aggiungendo che sentiva “intimamente una ferma speranza di avere dal Signore una tal grazia”, e all’Arcivescovo di Pisa chiedeva che dopo la sua morte cadesse dalla memoria di tutti divenendo l’obbrobrio di tutti.
Ciò si è puntualmente avverato, infatti nel 1973 la rivista “Rassegna” edita dal Comune di Pisa riportava un articolo di Antonio Fascetti, una breve biografia della vergine sarzanese, cui il direttore della rivista aggiunse un commento rammaricandosi che “la tomba della serva di Dio Caterina Brondi si trova, sì, nella sacrestia dei canonici nella Primaziale di Pisa, ma essa è interamente nascosta da un enorme cassone-armadio che contiene, credo, i paramenti dei canonici, di modo che, se qualcuno in ipotesi volesse portare un fiore od una candela alla sepolta, non saprebbe orizzontarsi per trovarne la tomba”.
Mons. Paolo Cabano