Ricerca dell’architetto Piero Mazzoni
(da Ameglia Informa di maggio 2021)
Scorrendo la vecchia stampa periodica spezzina (dal 1865 in poi, presente con numerose testate solo in parte, purtroppo, classificate da Ubaldo Mazzini fino al 1904) si scopre sul giornale “Spezia nuova” del 25 luglio 1880 un articolo dal titolo … imprevedibile: “La Spezia nell’anno 2000”, così come, settantaquattro anni dopo, nel 1934, su “L’Opinione” compaiono di-versi articoli “retrospettivi”, che rievocano “La Spezia di un tempo”. Vediamo prima come avevano previsto La Spezia futura i nostri avi del 1880.
La Spezia del 2000 come prevista nel 1880
In corsivo le considerazioni dell’architetto Piero Mazzoni.
Nel 1880, anno di pubblicazione su “La Spezia nuova” del-l’articolo “La Spezia nell’anno 2000”, l’indirizzo e lo sviluppo della città erano già segnati: l’Arsenale realizzato e operativo, l’espansione urbana iniziata dentro e fuori la cinta delle vecchie mura, la realizzazione del giardino pubblico nell’area detta “il prato”, la realizzazione del nuovo cimitero dei Boschetti, il completamento delle tratte ferroviarie lato Toscana e lato Genova, l’inaugurazione del Politeama e altro ancora.
Il tutto in parallelo ad un triplicarsi della popolazione residente: da 10.000 a 30.000 unità nell’ultimo ventennio).
Leggere questo articolo – previsioni e/o visioni? – è interessante perché esprime un comune pensare dell’epo-ca, certamente molto lontano dal nostro, ma conseguente ai fabbisogni e alle problematiche di allora e alle prospettive future che si ritenevano possibili, anzi auspicabili. Anche se forma e contenuti sembrano essere più frutto di… battute estemporanee che non di … profonde e meditate considerazioni.
Si sostiene che la città potrà avere un “avvenire commerciale e marittimo”, mentre la condizione indispensabile per il “risorgi-mento economico e commerciale” è la “ferrovia di Parma” (allora deliberata dal Governo) dalla quale ci si aspetta una “seconda trasformazione, un secondo ingrandimento non inferiore e più proficuo di quello avvenuto con l’Arsenale…”.
Ciò in considerazione delle modeste distanze dalla Spezia di Verona, Bologna e Milano, quali “teste di linea” per i loro collegamenti con il centro Europa (il Brennero e il Gottardo). Indicando più in generale i collegamenti del futuro affidati alle “ferrovie in terra e le navi a vapore in mare che stanno mutando le vie mondiali del commercio nazionale e internazionale”…).
(Un ruolo strategico assegnato alla città perseguito poi dalla metà del secolo successivo, un grande assente nella rete infrastrutturale immaginata: il trasporto su gomma). Si prefigura per il 2000 una “calata con ponti sporgenti e binari di ferrovia che dall’attuale porto e ponte da sbarco si estenda fino a San Bartolomeo”, (In coerenza con il presunto elemento prevalente di sviluppo ipotizzato: commerciale-marittimo) unitamente a una “nuova città” nella piana di Migliarina… più grande, più ben allineata, più ampia, più pulita della vecchia. (Anche questa previsione di espansione nella piana di Migliarina è da considerarsi una intuizione in libertà, non ancora valutata in quel secolo, che prenderà corpo qualche decennio dopo, agli inizi del novecento. Comunque emblematici gli aggettivi usati: il “più ampia e più grande” esprime il convincimento di un notevole incremento demografico-edilizio; il “più ben allineata” si riferisce ai canoni di sviluppo urbano, regolare e ordinato, tipico ottocentesco, in alternativa ai vecchi, e oramai fatiscenti quartieri esistenti – S. Antonio, il Poggio, il Torretto – il “più pulita” rivela una aspirazione conseguente alla pessima situazione igienico-sanitaria allora esistente, uno dei prevalenti problemi della città di allora, che può riassumersi nella cronica carenza di acqua potabile, inversamente nell’assenza di una rete di smaltimento delle acque reflue e infine nell’af-follamento e promiscuità creatisi nel patrimonio abitativo esistente: insufficiente e scadente sotto l’aspetto igienico-sanitario. Non a caso, quattro anni dopo, per la quarta volta in quel secolo, scoppiò il paventato “cholera).
Alla Spezia nel 2000 si vedrà aperta la via Cavour, la via Chiodo e tutte le altre, segnate dall’attuale piano regolatore, che allora farà sorridere per le sue piccolezze di concetto e d’estensione e che ora spaventa certuni, certo non colpevoli di slancio”. (Sembra imputarsi al piano regolatore vigente una sua “visione ristretta” dello sviluppo spezzino).
La nuova città sarà dotata di “un piano regolatore studiato da una Commissione non d’Ornato, composta di ingegneri Americani (sic…), liberi indipendenti, non invidiosi né cretini,…” (È evidente un giudizio negativo sul vigente “piano regolatore per l’ingrandimento della città di Spezia”, approvato nove anni prima, sia per le norme che lo hanno informato – il regolamento di ornato – che per coloro che lo hanno redatto – per la storia: i signori Cav. Giuseppe Allegro, Piaggio Carlo, Bellomi Luigi, Fossati Agostino, Mazzucchetti, Salvini e Giuliani. Non è dato sapere quali siano le argomentazioni a sostegno di tale drastico giudizio…).
Si prevedono “molti altri camini di officine industriali…”, “ con la collina del castello, dei Vicchi, del bastione, solcata da strade e popolata di eleganti villini ed ariose casette per operai”. (Uno sviluppo industriale e residenziale quindi).
“La Spezia nel 2000 sarà una delle più popolose e belle città d’Italia”…Sulle batterie alte e basse dei Cappuccini, cresceranno le annose acacie, come ora cresce l’edera sul castello del 1600 vecchio e inutile e che nel 2000 non esisterà più”. (Pochi anni dopo, a proseguimento di questa corrente di pensiero “demoli-toria”, si deve registrare la proposta dell’ingegnere A. Raddi, esperto in impianti tecnici e tecnologici, per erigere su quella collina, una volta demolito il castello, il nuovo Ospedale Civile.., secondo consolidate indicazioni vigenti all’epoca, di insediare tali strutture sanitarie in zone collinari salubri, ben soleggiate e ventilate…).
“In Spezia nell’anno 2000 si saranno formate parecchie Società di Navigazione a vapore… che faranno viaggi diretti tra Spezia e Yokoama, via Suez…” “Le giornate degli operai saranno il doppio delle attuali… ci sarà infine lavoro, lavoro, commercio e benessere per tutti”.
(E così si conclude questa prima parte alla quale ne segue una seconda, sul giornale del 1° agosto 1880, titolata “Cose reali”, ove, prendendo atto delle critiche e osservazioni pervenute da più parti per l’eccessivo sganciamento dal “reale e contingente” dimostrato nelle prima parte, si indicano quali sono, ad avviso della Redazione, i temi effettivi e urgenti del presente, con un brusco ritorno alla realtà e una sintetica quanto arida elencazione.
La sistemazione del Porto commerciale con aumento dei fondali presenti.
La costruzione del binario di ferrovia che congiunge il mare, il porto, con la stazione merci.
La realizzazione della Stazione ferroviaria definitiva, essendo l’attuale provvisoria “scomoda, lontana, impossibile”. Maggiori capitali da investire negli affari.
(da Ameglia Informa di giugno 2021)
La Spezia del passato, rievocazione del 1934
Alla metà degli anni trenta La Spezia è ormai giunta a un punto di arrivo qualificato e consolidato per la sua crescita, demografica e urbana, e per la qualità e consistenza delle sue infrastrutture e servizi.
Ma com’era Spezia, settanta anni prima, punto di partenza della sua evoluzione, come qui rappresentata? Vale la pena ricordarne alcuni aspetti.
A metà dell’800 l’originario borgo, prima del “ciclone” Arsenale Militare Marittimo, era chiaro, semplice, piccolo, piuttosto lontano dalla riva del mare: occupava una modesta porzione della pianura sotto il castello di San Giorgio che lo abbracciava e lo difendeva con il recinto delle mura urbane. Ricomprese nel comune erano anche le frazioni allora esistenti: quelle collinari di Isola, Marinasco, Biassa e Campiglia e quelle rivierasche di Pegazzano, Fabiano, Marola e Cadimare, tutte nella parte occidentale del golfo, oltre al nucleo isolato di Migliarina.
La via principale, via del Prione, incontrava all’interno delle mura, a ponente la la via Magenta, la chiesa di S. Maria, la piazza del Municipio e la via Biassa che proseguiva in uscita dalla omonima porta per raggiungere l’omonimo nucleo collinare; sempre a ponente lato mare esisteva via San Carlo (ora via Sapri) e via San Francesco con l’omonima porta per raggiungere l’omonimo complesso che sarà fagocitato dal costruendo Arsenale; altra porta lato mare quella del Carmine (o del Pallone), al termine della stessa via che si dipartiva dalla piazza del Municipio.
Tracciato delle mura urbane, oggi scomparse, della via del Prione tuttora esistente, di via del Torretto tuttora esistente sino a piazza Verdi, su planimetria della Spezia attuale
La via Prione aveva un passaggio dalle mura per porta Genova (verso monte, per la val di Vara), per porta Marina (lato mare fino al Ponte di sbarco – attuale via Diaz) e attraverso la porta Romana (dopo una deviazione a est, a costeggiare la collina del Castello, tramite le vie Sforza, Calatafimi, S. Agostino e la relativa piazza), porta Romana oltre la quale proseguiva con via del Torretto, tuttora rimasta con lo stesso tracciato fino a piazza Verdi, ove i vecchi e degradati quartieri del Torretto e di San Gottardo hanno ceduto il passo ad un nuovo ordine ottocentesco di lotti edificati regolari, strade ampie e edifici improntati al decoro e all’igiene.
Nei trascorsi settant’anni tra la situazione sopra esposta e gli anni trenta degli articolo su “L’Opinione” la dinamica evolutiva fu forte e inarrestabile.
Ricordiamone alcuni aspetti.
Lo sviluppo urbano-edilizio, sempre e anche allora ad inseguire il fabbisogno abitativo in forte crescita, parte dal modesto nucleo entro le mura e investe la contigua zona a mare (via Chiodo e dintorni), viale Savoia (viale Amendola), procede fino alla via Militare (viale Garibaldi) e, in seguito, a monte della stessa con il quartiere Umberto I° (piazza Brin) e altro ancora; investe successivamente la parte collinare con altri insediamenti residenziali serviti da numerose e caratteristiche scalinate oltreché dall’altra “via Militare” (via dei Colli) e via XXVII Marzo.
In tale arco temporale degli ultimi settanta anni, la popolazione è passata da 11.000 a 115.000 abitanti e, all’epoca, risulta essere la 19ª città italiana per ampiezza demografica.
Già nel 1923 si ratificano con Regio Decreto le notevoli trasformazioni avvenute: il “Circondario del Levante facente parte della Provincia di Genova” viene elevato a Provincia della quale Spezia ne diventa Capoluogo. Il provvedimento ratifica anche un incremento territoriale per l’annessione dei comuni di Varese Ligure e Maissana già ricompresi nel Circondario di Chiavari e di Calice al Cornoviglio e Rocchetta Vara già ricompresi nella provincia di Massa.
Nel 1929 Spezia viene eretta a Città Episcopale della Diocesi Lunense. Subito dopo, sempre con Regio Decreto, “Spezia”, diventa “La Spezia”. Un altro indicatore al quale riferirsi è indubbiamente “L’Annuario Generale d’Italia” dell’epoca, definitosi “guida generale amministrativa professionale commerciale e industriale del Regno e delle Colonie” “Volu-me che illustra lo sviluppo della Nazione in tutte le sue manifestazioni demografiche, economiche, sociali e politiche e le multiformi attività che lo Stato e il Regime vanno svolgendo in ogni campo della vita nazionale”.
Ebbene, tale pubblicazione ci dà l’immagine di una città strutturata e consolidata, sia per la dotazione di numerose “Amministrazioni” connesse alla gestione periferica dello Stato (Provincia-le, Giudiziaria, Finanziaria, Militare, Mercantile, Ferroviaria, ecc.), sia per quella parte di attività e di attrezzature destinate a servizi di interesse collettivo, pubblici e privati, quali scuole, asili, servizi sociali, igienico- sanitari e ospedalieri, cinema, teatri, banche, negozi, biblioteche, ecc., opere in massima parte tutte realizzate in parallelo allo sviluppo urbano e alle relative infrastrutture.
Sempre in quel periodo (siamo nell’anno 1933) andavano a compimento alcune annose questioni cittadine come, ad esempio, il completamento di piazza Verdi con la demolizione del Politeama (dopo “appena” cinquanta anni di vita), l’inaugura-zione del Palazzo delle Poste e la conclusione dello sbancamento della collina dei Cappuccini (confine naturale della vecchia città) che impediva il proseguimento di via Chiodo e viale Mazzini nella piana di Migliarina ove, in superamento-antitesi con le impostazioni ottocentesche, era previsto il futuro e ulteriore sviluppo urbano.
Nel contempo, come si conviene e come è necessario per una città che è cresciuta a ritmi sostenuti e si è attrezzata come La Spezia, si è provveduto ad approvare il nuovo Piano Regolatore redatto dal G.U.R. (Gruppo Urbanisti Romani).
(da Ameglia Informa di luglio 2021)
La Spezia nel 1934
Quanto detto prima in premessa per comprendere che, insieme alla raggiunta consapevolezza dello “status” raggiunto (il “chi siamo”), gli spezzini abbiano sentito il desiderio di esplorare e ricordare le origini (il “chi eravamo”), forse un misto di compiacimento, orgoglio e nostalgia. Ed ecco comparire su un giornale settimanale spezzino, “l’Opinione”, una serie di articoli nei quali ricordare e/o ricostruire luoghi, fatti e persone della vecchia Spezia, in ciò avvantaggiati dal fatto che si trattava di un’epoca non troppo recente ma nemmeno troppo lontana per cui permanevano ancora ricordi e testimonianze dirette. In questi articoli, comparsi nei mesi di luglio, agosto e settembre del 1934, gli sforzi rievocativi svolti dai diversi intervenuti riguardano quasi esclusivamente una ricostruzione, la più puntuale possibile, di negozi, artigiani, esercizi, servizi di vario genere per tipo, localizzazione, gestore o proprietario ed eventuale soprannome; il tutto esclusivamente in modo ricognitivo e neutrale.
Comunque la loro localizzazione riconferma il “centro” del vecchio borgo costituito sulle strade prima citate, ossia vie Prione, via Sant’Agostino, Biassa, San Carlo, Calatafimi, Magenta e piazza Sant’Agostino.
Un certo interesse può avere anche la definizione delle diverse attività menzionate che, si ricorda, esprimevano, bene o male, la risposta ai fabbisogni di quella gente e di quell’epoca: la mesciua del “Celè”, le trattorie, l’emporio, il barbitonsore, il negozio vendita di cera, i Generi di Monopolio, la farmacia. la rimessa, i servizi omnibus, la fiaschetteria, le sedi di Associazioni Repubblicane e Massoniche, l’osteria, i fabbri ferrai, gli alimentari, la fabbrica di paste. Il panificio, il Tribunale Militare, gli alberghi, i negozi di coloniali e liquori, la tabaccheria, la liquoreria, le seterie e stoffe, le oreficerie, i negozi di biancheria e quelli di droghe e coloniali, le drogherie, il calzolaio, il forno di farinata, il fabbro, il caffè, la fabbrica di armoniche, il ramaio, il negozio di pellami, il parrucchiere, la merceria e tessuti, i commestibili e il pane.
L’esame della città presenta anche delle esclusioni come il quartiere del Poggio, “ritenuto non meritevole di passare alla cronaca, con
l’augurio che l’attuale Podesteria trovi il mezzo di fare scomparire completamente tutte le brutture materiali e morali che purtroppo infestano ancora la famigerata località”. Così come tale analisi si estende anche al-l’esterno delle mura con un articolo titolato “Un passo fuori dalla Spezia antica”, “l’Opinione” del 13 agosto 1934. Il Torretto ad esempio, con l’omonima via dalla Porta Romana al colle dei Cappuccini. Una notazione a specchio dell’evoluzione dei tempi: “Essa era illuminata da due fanali, detti lampioni, ad olio, poi è venuto il petrolio, quindi gli è successo il gas ed ora la luce elettrica nel breve corso di circa sessant’anni”.
Si cita la località Vanicella (che insieme alla Fondega e ai Cappuccini costituiva la fascia collinare, di proprietà della Contessa Verasis di Castiglione), nei tempi antichi inedificata e frequentata dal pastore Pachino, successivamente, a quell’epoca, investita da massicce edificazioni. Si cita l’Oratorio di San Gottardo, luogo di celebrazione della Festa del 4 maggio, poi trasformato in lavatoio, ora (nel 1934) completamente scomparso. Si rammenta la salita dei Cappuccini, “la casa rossa, villa della Marchesa Oldoini (Ra-pallina), (le villette erano due, entrambe della Marchesa, più nota come Contessa Verasis di Castiglione, una delle quali data in uso al Fossati che era il fattore dei beni patrimoniali della predetta Contessa”, entrambe demolite l’anno prima insieme all’intera collina)
L’articolo si conclude con una considerazione sullo sviluppo urbano, passato presente e futuro, espressa in modo piuttosto convenzionale e rituale, quasi un atto dovuto : “Oggi il Torretto non esiste più. La plaga è completamente trasformata: ove eran prati, orti, casupole, sono sorti magnifici palazzi, ampie strade e questo ci dice il meraviglioso progresso e lo sviluppo edilizio della nuova Spezia, sviluppo che incontrastato continua la sua ascesa nella meravigliosa piana di Migliarina”.
Nel merito della “Spezia di altri tempi”, sempre vista nel contesto degli anni trenta, tra tutto ciò che può essere detto o citato, mi pare pertinente, poiché espressione del comune sentire, anche quanto ebbe a scrivere Delvia Fossati, figlia del pittore Agostino, riferendosi alla sorella Amelia, nelle sue “Me-morie di infanzia”, da lei, ormai sessantenne, concluse nel 1934.
“O Amelia, tu tieni sempre presente, non è vero? che io ti ricordo cose d’altri tempi. Di tempi quando le vie della nostra Spezia non rifulgevano ancora di lampade elettriche né di vetrine illuminate a giorno, ricche d’inverno come d’estate di rigogliosa frutta d’ogni età e d’ogni paese; di tempi in cui tutto era ancora modesto, quieto, pago, tutto docilmente confinato nel suo limite assai raramente oltrepassato, tutto chiuso nella sua ristretta ma tanto placida cerchia. Poveri tempi?…
Sì certamente, automobili non ce n’erano e non c’erano aeroplani, e non c’era il cinema, e non c’era la radio a narrare in casa a noi comodamente sdraiate avvenimenti belli e brutti di tutto il mondo, e musica e canto; e non c’era la luce elettrica né fuori né in casa, e nemmeno la comoda cucinetta a gas cosi che per allestire in fretta una tazzina di caffè, quando mancava la macchinetta a spirito e il fuoco dei fornelli era spento e spento quello a legna, occorreva, a dir poco, un buon quarto d’ora e sventolando sempre.
Ma… poiché queste ed altre belle cose allora non c’erano ad accrescere gli agi della vita, è solo perché siamo già al tramonto che la nostra alba lontana ci appare ora tanto ma tanto bella?…
E l’alba dei nostri bimbi d’ora avrà dunque per essi lo stesso nostalgico fascino quando essi pure, come noi ora, volgeranno al tramonto?… “
Piero Mazzoni – architetto