(da Ameglia informa di febbraio 2003)
A quanto pare anche Fiumaretta, pur nel suo piccolo, è entrata nella Storia, quella che viene riportata sui libri, a imperitura memoria dei popoli e delle loro gesta. Più precisamente è entrata nella storia della creazione dello Stato di Israele e, di conseguenza (purtroppo), nella storia dell’annoso conflitto araboisraeliano.
Pare infatti che dopo la fine della seconda guerra mondiale, prima dell’anno 1948 e a cavallo dello stesso, siano transitati per il nostro paese gruppi di ebrei che si stavano dirigendo in Palestina per diventare cittadini del nuovo stato fondato dalle Nazioni Unite, cacciando dalle loro terre e dei propri avi il popolo palestinese.
Non sappiamo con precisione da dove arrivassero né quanti fossero, però sicuramente tra loro c’erano i sopravvissuti ai campi di sterminio in Germania.
Essi sostavano nell’area del cantiere navale del signor Venè (l’attuale Labornaves) e nella zona compresa tra le attuali via Ratti, via Baban e via Kennedy, dove c’era anche la casa di proprietà del Venè (che si ergeva nel sito attualmente occupato dall’edificio comunale di Via Ratti che ospita le associazioni pubbliche e la Delegazione di Spiaggia).
Tutta questa zona era costituita da campi e prati, ed ivi avevano montato, o gli erano state montate all’uopo da altri, delle tende da campo. In questi campi correva anche il canale Minale (che andava poi a sfociare nel fiume passando attraverso l’area del cantiere) e queste persone utilizzavano le sue acque limpide e pulite (allora sicuramente scevre da ogni inquinamento) per bagnarsi e lavare i loro panni.
Come misteriosamente arrivavano, così misteriosamente ripartivano, visto che ci è stato raccontato da testimoni oculari che nell’arco di una nottata, dopo una sosta di uno o due giorni (o poco più) queste persone se ne andavano senza lasciare traccia. Ma cosa succedeva?
Succedeva che nel frattempo arrivava una nave (si dice che fossero navi inglesi, presumibilmente erano anche americane o francesi), che si fermava alla fonda di fronte alla nostra costa, al largo di Punta Bianca e nottetempo gli ebrei venivano trasferiti a bordo. Il tutto logicamente effettuato al buio e con il solo ausilio di una piccola lanterna per i segnali. Questa opera di trasbordo era effettuata per mezzo dei leudi (barche a vela latina) che durante il giorno erano impiegate per il trasporto della sabbia, le cosiddette “barche da l’aèna” (foto in evidenza), di proprietà di Luigi Germi e sulle quali erano imbarcati molti marittimi del posto. Anche il Prof. Silvestri ne fa cenno in una nota a piè di pagina della sua grande opera storiografica (“Ameglia nella storia della Lunigiana”, Sarzana 1982, pag. 291). Su una di queste barche “da l’aena” , ovverosia il “S. Gioacchino”, era imbarcato, assieme al motorista Dialmo Vanello, ad Armando Casella e altri, anche Andreino Giovanelli, nota e apprezzata figura di socialista e antifascista e inesauribile fonte di notizie, il quale ci ha raccontato che una notte furono costretti addirittura ad effettuare due viaggi.
Ciò perché quando ormai erano quasi a terra a Fiumaretta, sentirono che dalla stiva proveniva un pianto soffocato e si accorsero che avvolto in una vela era rimasto a bordo un ragazzino che probabilmente nel viaggio verso la nave si era assopito. Pertanto dovettero tornare indietro, rifare i segnali alla nave con la lanterna ed effettuare il trasbordo, il che detto così non è molto, cambia però se rammentiamo che tutto ciò era fatto clandestinamente.
Su questo capitolo misterioso al momento non siamo riusciti a reperire ulteriori notizie, però sarebbe senz’altro interessante che chiunque avesse delle informazioni più precise le facesse avere alla redazione del giornalino.
Marco Vanello